Ricevo e pubblico una lettera spedita al Responsabile della Salute e Sicurezza del Personale RSPP, da un lettore di questo blog, che produce dei ragionamenti interessante utilizzando una metodica di problem solving, sulla effettiva funzione di protezione individuale e collettiva nei posti di lavoro, detti DPI, del recente decreto legge che richiede il lasciapassare sanitario Covid-19, chiamato Green Pass, a tutti i lavoratori.
“Egregio e Stimato collega Responsabile della Salute e Sicurezza del Personale aziendale RSPP. Le scrivo per ottemperare ai miei doveri come richiesto dal DL 81/2008 che esorta la mia partecipazione attiva nel valutare e proporre metodi per migliorare la salute e sicurezza negli ambienti di lavoro.
Come da recente approvazione e pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del
DECRETO-LEGGE 21 settembre 2021, n. 127
<< Misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l’estensione dell’ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 e il rafforzamento del sistema di screening >>.
Il decreto individua in un nuovo strumento chiamato “certificazione verde COVID-19” un ulteriore strumento per migliorare la sicurezza sui posti di lavoro.
I precedenti strumenti DPI adottati erano: mascherina di grado chirurgico, distanziamento, misura della temperatura corporea prima dell’ingresso sul posto di lavoro e diradazione del personale per ottemperare al minimo tempo medio di esposizione al potenziale contagio.
Questi provvedimenti nel 2020, anno di picco del problema medico e pandemico, e fino al 15 Ottobre 2021, sono stati sufficienti per risolvere il problema di sicurezza del personale lavorativo.
A riprova ci sono sia statistiche ISTAT, che i rapporti del nostro Istituto Superiore di Sanità, che attestano una mortalità da infezione da virus Sars-CoV-2 e conseguente malattia COVID nettamente inferiori, quasi azzerate, rispetto al picco del Marzo-Aprile 2020.

La mortalità nella fascia di età NON lavorativa, dal Marzo 2020 al 6 Ottobre 2021 è stata di 124’141 persone su un totale di 130’508 persone, in percentuale il 95% dei morti totali da malattia da e per Covid-19 su una popolazione italiana di circa 60’000’000 di abitanti.
Per cui già questo dato attesta l’efficacia dei provvedimenti adottati ante il 15 Ottobre 2021.
I morti totali nell’arco di 18 mesi (Marzo 2020-Ottobre 2021), per la fascia di età potenzialmente lavorativa sono stati 6330.
Ricordando che nell’anno 2019 i morti totali sul lavoro sono stati 1’156 (fonte INAIL link), il totale delle persone occupate è stato di 23’400’000 (fonte INPS link) si può stimare l’incidenza della mortalità da Covid nella popolazione lavorativa in circa 1’645 unità (formula: 6330 / 18 mesi * 12 mesi / 60’000’000 * 23’400’000).
Questo è un dato che evidenzia quanto la mortalità in ambito dei posti di lavoro sia comparabile con la mortalità da Covid, che tra l’altro non risulta essere direttamente correlabile alla attività lavorativa svolta.
In percentuale la mortalità da e per Covid nella fascia di popolazione lavorativa è del 0,07%, rispetto ad una mortalità media italiana del 1% (circa 650’000 persone muoiono in italia ogni anno).
Con il nuovo decreto si introduce un ulteriore schema di protezione individuale e collettiva che chiede di possedere il lasciapassare sanitario Covid 19 (anche detto Green Pass), e che si va a sommare a quelli già in essere.
Il predetto strumento chiede al lavoratore di essersi o volontariamente “vaccinato” con uno qualsiasi dei trattamenti sanitari sperimentali rilasciati per motivi emergenziali da AIFA e ministero della salute, oppure dimostrare la propria assenza di contagiosità tramite una procedura medica chiamata “analisi della positività al Virus Sars-Cov-2 tramite Tampone”, da reiterare ogni 48 ore.
Questo nuovo strumento per la sicurezza prevede anche di dover dimostrare l’avvenuta ottemperanza alla legge tramite esibizione dello stato di salute del lavoratore ad un componente dell’azienza, non ben individuato nella legge.
Lo stato di salute del lavoratore è un dato sensibile per la legge sulla privacy e normalmente non può essere richiesto. La nuova legge non specifica se il diritto alla privacy è stato sospeso. Ma questo è un problema non di carattere di sicurezza fisica sul posto di lavoro, per cui secondario al ragionamento che si sta portando avanti.
Recenti studi, la scheda tecnica dei “vaccini”, dichiarazioni pubbliche ed anche il D.L. 127 art 5 comma 1 lettera d) che recita: << A coloro che sono stati identificati come casi accertati positivi al SARS-CoV-2 oltre il quattordicesimo giorno dalla somministrazione della prima dose di vaccino, nonche’ a seguito del prescritto ciclo, e’ rilasciata, altresi’, la certificazione verde COVID-19 di cui alla lettera c-bis), che ha validita’ di dodici mesi a decorrere dall’avvenuta guarigione >> attestano che sia il lavoratore sottopostosi volontariamente al trattamento sanitario sperimentale, chiamato brevemente “vaccinazione”, sia il lavoratore che per qualsiasi motivo è impossibilitato a farlo, possono potenzialmente, ed in eguale misura, diffondere il contagio da virus Sars-Cov-2.
La riprova banale, dell’uomo della strada, è che l’uso della mascherina e tutti gli schemi di protezione individuale non sono stati esentati al lavoratore che si è sottoposto volontariamente alla “vaccinazione”.
Possiamo notare che il lavoratore, che non ha aderito al trattamento medico volontario sperimentale della “vaccinazione”, attraverso la visita medica chiamata “Tampone” otterrà una certificazione potenzialmente “certa” della sua NON contagiosità.
Pertanto la nuova legge aggiunge allo schema della prevenzione e sicurezza sui posti di lavoro un nuovo strumento diagnostico di prevenzione, ma lo richiede ad una sola fascia di personale lavorativo, che dai dati statistici sembra attestarsi nel 20% della popolazione lavorativa.
Questo miglioramento esclude una fascia di lavoratori i quali si sono sottoposti volontariamente ad un trattamento medico sperimentale, ma non beneficeranno della ulteriore protezione.
Secondo una logica di sicurezza la legge avrebbe dovuto richiedere la presunta non contagiosità a tutti i lavoratori, e non solamente ad una fascia generica di lavoratori.
Il lavoratore a cui è richiesto obbligatoriamente di sottoporsi ad una visita medica invasiva chiamata brevemente “Tampone” sembrerebbe il solo a beneficiare effettivamente del nuovo schema di protezione sui posti di lavoro.
Questo però ad un costo che è sia di ordine pecuniario, che di salute.
Pecuniario in quanto gli è richiesto dall’azienda, ogni 48 ore, di pagarsi una visita medica che emette il certificato verde Covid-19 detto “Green Pass”, che può variare dai 15 ai 60 Euro per visita. Se reiterato per il mese lavorativo l’esborso totale potrà variare dai 180 ai 480 Euro per mese. Per un lavoratore medio questo può incidere tra il 13 ed il 34% dello stipendio mensile.
Di salute, in quanto il “Tampone” è una visita invasiva e pertanto se reiterata nel tempo potrà creare irritazioni o abrasioni del setto nasale, eventuali intolleranze o malattie sconosciute, e finanche uno stress psico-fisico dato dal dover rinunciare ad una parte del proprio tempo libero in pre o post orario lavorativo feriale, o semplicemente un reiterato “fastidio” alla procedura medica, per ottemperare all’obbligo.
Solo questo potrebbe far aumentare le ore non lavorate per visite mediche e giorni di malattia.
Nella nuova legge non sembra valutato questo impatto. Normalmente il lavoratore è sottoposto a visita medica obbligatoria con cadenza biennale e non prevede analisi invasive.
Il tempo impiegato per compiere questo atto obbligatorio è effettuato in orario lavorativo e a carico, pagato, dal datore di lavoro.
Questo ragionamento porta ad alcune considerazioni che potenzialmente minacciano l’azienda su più fronti.
Quello di richiesta di risarcimento delle spese di visita medica obbligatoria.
Quello di una potenziale causa per risarcimento di lesioni e violenza personali, questa di ordine penale e non solo amministrativo, prodotte dal reiterato obbligo a visite mediche invasive.
Quello di una potenzaiale causa per mancata protezione e sicurezza nei posti di lavoro nel caso qualcuno sia infettato e si ammali.
Purtroppo la legge non prevede un rimborso per l’azienda delle spese vive che il lavoratore deve sostenere obbligatoriamente, la quale non è obbligata a riconoscerlo al lavoratore.
Sappiamo che parlamentari pagati 15’000 Euro al mese, e tutto l’apparato governativo, non soffrono delle stesse difficoltà che incontra l’azienda ogni giorno per restare “a galla” nel mercato. Per loro è facile emettere una legge senza curarsi dei risvolti economici che subiranno le aziende private.
La legge non tutela l’azienda per possibili cause, che purtroppo e a malincuore, il lavoratore dovrà per forza rivolgere in prima instanza al datore di lavoro.
Anche questo fatto è in certa misura distruttivo del rapporto di fiducia e collaborazione tra il lavoratore e il datore di lavoro. Questo impatto travalica l’aspetto di sicurezza, ma entra nel discorso più ampio di benessere del lavoratore nell’azienda in cui opera.
La legge non sembra valutare l’impatto sul team building, cioè la compattezza e coesione del gruppo di lavoro tanto inseguita, costata e costruita negli anni dall’azienda. E’ risaputo che qualsiasi differenza di trattamento tra i lavoratori, se non supportata da evidenti meriti aziendali, è deleteria per gli equilibri inetrni e porterà sicuramente ad una diminuita produttività aziendale.
Certo di aver ottemperato al mio meglio nell’obbligo, come stabilito dalla legge 81/2008, ma soprattuto di aver contribuito alla crescita aziendale, anche e purtroppo portando alla luce aspetti potenzialmente negativi per l’azienda stessa.
Saluto e ringrazio per l’attenzione il mio stimato collega RSPP con un motto: “prevenire è meglio che curare”, certo che porterà a conoscenza questi ragionamenti e valuterà una adeguata risposta insieme al nostro datore di lavoro.”
ADDENDUM:
E’ da notare che la nuova legge, al comma 9 e 10, aggiunge una clausola mai utilizzata nell’ambito della legge sulla protezione nei posti di lavoro. Il lavoratore che non si sottopone alla visita medica obbligatoria ogni 48 ore viene sospeso dal lavoro senza stipendio, non può accedere ai locali dell’azienda, ne lavorare in telelavoro detto “Smart Working” (e questo per lavoratori a cui è congeniale il telelavoro sembra una norma assurda e non efficace).
Il lavoratore che viene trovato nella sede lavorativa sprovvisto del lasciapassare, o l’azienda che non ha organizzato il controllo, avrà comminata una multa amministrativa dai 600 ai 1500 Euro, erogata direttamente dal prefetto. Il giudice del lavoro, o qualsiasi giudice, viene escluso dal riconoscimento del reato.
Questo implica che l’emergenza sanitaria ha sospeso alcune prerogative e procedure giuridiche ed ha istituito processi per direttissima direttamente gestiti attraverso il prefetto, come sotto legge marziale.
La legge è emanata in base agli articoli della costituzione “
Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione; Visti gli articoli 32 e 117, secondo e terzo comma, della Costituzione; Visto l’articolo 16 della Costituzione, che consente limitazioni della liberta’ di circolazione per ragioni sanitarie”.
Nessuno cita gli articoli che, dovrebbero essere di rango superiore, “
Costituzione Italiana dove l’articolo 1 recita “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.
L’articolo 3 recita “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”
L’articolo 4 recita “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”.